CUMBERLAND ISLAND

La Cumberland Island e' la piu' grande delle isole dell'oceano Atlantico che fronteggiano le coste della Georgia: e' li', in quel territorio un tempo popolato dai nativi americani, poi colonizzato dagli spagnoli, dai francesi e dagli inglesi e in cui le piantagioni hanno lasciato spazio a residenze per gente facoltosa, che Neilson Hubbard ha portato la moglie il giorno dopo il suo matrimonio, nel settembre del 2016. Da quel viaggio ha preso forma questo album, il primo che Hubbard incide a suo nome da dodici anni a questa parte: in meno di una settimana, con Ben Glover (suo compagno di avventura negli Orphan Brigade) a condividere con lui il ruolo di produttore e un bello stuolo di session men di Nashville che include Will Kimbrough, Joshua Britt, Eamon McLoughlin e Dean Marold a dargli una mano, Neilson ha registrato un disco di rustica bellezza che intesse i fili della miglior roots music americana mentre la sua voce risuona intensa, spirituale, tagliente e fragile come 'uno specchio spezzato' (secondo la suggestiva definizione che ne da' la nota di presentazione della casa discografica). Il cantautore recupera vecchie composizioni come 'Save You' e 'How Much Longer Can We Bend' e le affianca a pezzi nuovi come 'My Heart Belongs To You' e 'Don't Walk Me Through This World On My Own', capaci di evocare l'intimismo e la profondita' di un Tom Waits appena piu' disciplinato, componendo un disco che parla di amori persi e ritrovati, di sogni e di promesse infrante, con un'onesta' che non puo' lasciare indifferenti e con una capacita' quasi cinematografica di osservazione dei luoghi non sorprendente per un artista che e' anche un eccellente fotografo e regista. Un disco davvero interessante, selvatico e maestoso come l'isola che lo ha ispirato